lunedì 24 dicembre 2012

Un anno e un altro ancora

Bene, mancano pochi giorni alla fine di quest'anno, è la vigilia di natale e, io mi sento leggera.
Non ho mai comprato così tanti regali e non perchè non ne avessi voglia, perchè semplicemente non avevo poi così tanti amici a cui farli.
Per la prima volta mi sono trovata a sgambettare su e giù per le strade alla ricerca di qualcosa di adatto, qualcosa che potesse piacere, forse solo un simbolo per farvi ricordare di me e dirvi "Ei! Ci siete e sono contenta, sappiatelo!".
Per la prima volta ho passato giornate intere a scrivere bigliettini, ad accartocciare foglietti e a riscriverli perchè le parole non sembravano mai quelle che avevo in testa e non sembravano mai all'altezza di ognuno di voi.
Per la prima volta mi sono ritrovata a dire a mia madre "Io al cenone del 25 non ci sono, sto con i miei amici" e già mi immagino seduta con voi a tavola a ridere come solo con voi so fare.
Per la prima volta sono felice che sia festa, perchè so di non essere sola, so che ci siete voi e che ora che ci siete non vi perderei per niente al mondo. Che se mi dovesse scappare una lacrima ci sarete voi a farmela sostituire con una rumorosissima risata
Per la prima volta, a pochi giorni da Capodanno, sono seduta a scrivere il resoconto di un anno che si prospettava pessimo, che mi ha riservato tante brutte sorprese, che non ha perso l'occasione di farmi cadere senza darmi una mano per rialzarmi ma che, tra un pianto e l'altro, mi ha fatto il regalo più bello: conoscere voi.
Non ho mai avuto troppi amici, non ho mai avuto così tanta voglia di uscire la sera per incontrare qualcuno e passarci le ore senza sentirmi fuori posto. Non ho mai abbracciato e detto "ti voglio bene" a così tante persone, non ho mai avuto così tanta gente intorno pronta a restare con me, qualsiasi cosa accada.
E per quanto questo 2012 sia stato un anno profondamente del cazzo che ha portato una ventata di casino nelle case e nelle teste di tutti noi beh, io lo ricorderò sempre e lo ricorderò con piacere.
L'uragano che ha sconvolto la mia vita mi ha spinta a camminare nel deserto fino a farmi trovare quell'oasi felice che siete voi.
L'idea di un nuovo anno che si avvicina mi rende felice, l'idea di un nuovo anno insieme pieno di progetti e giornate da passare insieme mi fa sentire fortunata. Scriverei qualcosa per ognuno di voi ma, abbiate pazienza siete troppi e mi ci vorrebbero giorni per farlo.
Una cosa però la dico a tutti, vi voglio bene ragazzi, davvero!

sabato 1 dicembre 2012

La pantera azzurra




Cassandra guidava nella pioggia, il caschetto di capelli castani perfetti intorno al viso, gli occhi grandi, fissi sulla strada.
Le facevano male le dita per il freddo, gettò il mozzicone di sigaretta macchiato di rossetto rosso dal finestrino. Lo vide scivolare lontano lungo la strada. Aveva le palpebre pesanti e il cuore le batteva veloce, troppo veloce. Lo stereo cantava, le note aprivano un varco temporale nella sua mente, Cassandra aveva paura, le tremavano le mani e il respiro si faceva sempre più pesante. Premette il piede sull’acceleratore e si avviò verso casa. Doveva sbrigarsi, doveva scendere dalla macchina.
I battiti del cuore si facevano sempre più pressanti, sentiva la vena sulla tempia pulsarle e ricordarle che stava per avere un attacco di panico.
Scese dall’auto e incespicò con i tacchi sull’acciottolato scivoloso, perse l’equilibrio e riprese la corsa verso il portone. Le si stava asciugando la gola. Immagini confuse le riempivano la memoria, i fantasmi del passato stavano tornano.
Si chiuse la porta alle spalle e fissò assente i quadri appesi alle pareti, Cassandra si accasciò per terra.

La bambina con i capelli castani se ne stava sulla soglia delle scale, in attesa. Calda nel suo pigiamino con i dinosauri colorati, il suo preferito, stringeva tra le braccia una pantera di stoffa celeste. Più che una pantera era un blasfemo incrocio tra un felino e un orso. Era un panterorso.
Sua madre le accarezzò i capelli a caschetto, lisci e immobili «Va’ a letto». La bambina scosse la testa, la frangetta negli occhi «No, devo aspettare papà», la madre sospirò «Non sarà contento di trovarti ancora in piedi, vieni a letto», la piccola parve non sentirla e continuò a coccolare il suo panterorso.
La donna le voltò le spalle e andò a letto, lei invece rimase lì, accovacciata sul pavimento di marmo freddo ad aspettare.
Un rumore di chiavi infilate nella toppa fece gioire la bambina, suo padre era tornato! «Papà!» si gettò tra le braccia dell’uomo barcollante. Aveva lo sguardo vitreo, era magro, il viso sudato e perso nel vuoto. Probabilmente aveva bevuto, con  molta più probabilità aveva infilato un ago nel braccio permettendo alla morte di spianarsi la strada. «Perché sei in piedi Cassandra?» sbraitò, Cassandra sussultò «Ti aspettavo… dove sei stato?». L’uomo grugnì, sollevo sua figlia prendendola per il collo e la premette contro il muro.
La bambina spalancò gli occhi, vide il suo panterorso scivolare dalle sue mani, le bruciavano le spalle per il dolore. La parete fredda le premeva contro la schiena, le mani di suo padre le stringevano il collo esile, non riusciva a respirare. «Il panterorso! Lo voglio! Papà mi fai male!», l’uomo sentì l’adrenalina diffondersi lungo le braccia, la testa leggera. «Te lo faccio vedere io cosa facciamo a questo pupazzo adesso».
Lasciò cadere la bambina e si avventò sul pupazzetto celeste. Cassandra piangeva, Cassandra urlava. Il mostro tirò fuori un coltello dalle scarpe, lo teneva ben stretto nei calzini e lo puntò contrò il giocattolo di sua figlia «Nooo! Lascialo! Lascialoooo!». Suo padre rise mentre sventrava il panterorso. Lo stomaco di pezza rigurgitò un cuore di ovatta bianca, consistente come le nuvole.
Gli occhi di Cassandra riversarono lacrime «Cattivo! Sei cattivo! Panteroorsooo!» pianse picchiando con i pugnetti chiusi sulla schiena di suo padre e cercando di ricucire le ferite del suo amico di stoffa.
L’uomo la risollevò prendendola per il collo e le puntò contro il coltello. La bambina scossè la testa e sgranò gli occhi.

«Cassandra! Rispondimi, Cassandra!» la ragazza con i capelli a caschetto castani rivide il mondo comparire intorno a lei. Il ragazzo la guardava negli occhi e la scuoteva per le spalle. Cominciò a piangere ricordando il suo panterorso. Ricordò l’ovatta riversata sul pavimento, le mani di suo padre intorno al collo, la lama fredda sotto il mento e il dolore lancinante alla schiena. Cassandra pianse.
Quella notte la ragazza infilò un coltello sotto il cuscino, in segno di lutto per il suo panterorso. In segno di lutto per un padre, vivo da qualche parte, morto da tempo nei suoi ricordi.



lunedì 19 novembre 2012

Metodi insoliti



A te, che capirai

Avrei potuto fare come tutti gli altri.
Sai, avrei potuto scriverti un messaggio, lo fanno praticamente tutti. Anch’io li mando i messaggi ma, quando devo dire cose importanti, il limite dei caratteri mi mette ansia. Che poi magari vengono fuori dieci messaggi e uno si scoccia a leggerli, qualcun’altro si perde per le infinite vie telematiche e non si capisce nemmeno cos’è che volevo dire. Poi magari si perde completamente e non ti arriva mai e io, per mantenere le tradizioni, mi incazzo pure e mi faccio baciare dalla paranoia che vive sulla mia spalla. Sai, magari penso che non l’hai nemmeno aperto perché tanto se è qualcosa di importante te lo dico a voce, o ti chiamo, o magari penso che l’hai letto e te ne sei fregato perché… che ne so perché, potrebbero esserci miliardi di motivi e nella vita non si sa mai!
E tra l’altro la tastiera del mio cellulare ha gli spasmi come me e salta le lettere o le cambia, metti che ne salta o ne cambia proprio una importante e stravolge tutto il senso della storia? Uno decide di scriverti… che ne so… “Ti voglio bene, cazzo!”, poi arriva la mia tastiera agonizzante e viene fuori qualcosa tipo… non so… “Voglio be cazzo!”. Tu che capisci? Niente, appunto.
Tra le tante cose io sono pure un po’ contro le cose importanti dette per messaggio, che poi li cancelli, li perdi, cambi telefono e non li leggi mai più. A me ‘sti metodi nuovi stanno un po’ sulle palle. No, il messaggio non avrebbe fatto per me.
Avrei potuto scriverti una mail ma, anche in questo caso, ci sarebbero potute essere tante complicazioni. Tanto per cominciare avresti potuto non controllare la posta elettronica per mesi, poi magari leggi la mail in un momento sbagliato e a me prende male. Poi c’è lo spam. Non sottovalutare mai lo spam! Uno perde giornate intere a cercare di scriverti una mail, la invia, magari la connessione è avversa e ci mette il triplo del tempo e poi… bam! Nello spam! E tu non la leggi più. Potrebbero anche fotterti la password e la mail poi la riceve un hacker che io non ho mai visto in vita mia. No, la mail non avrebbe funzionato.
Magari avrei potuto dedicarti una canzone. Troppo scontato, tutti si dedicano canzoni, tante volte fanno anche schifo. È una tradizione che fa tanto GiovaniPaninariDegliAnniOttanta, quelli se le beccavano sempre le canzoni dedicate. Le radio esistevano per quello, per dedicare canzoni smielate e pure un po’ pacchiane a persone che, nella stragrande maggioranza dei casi, non capivano nemmeno che l’orribile regalo di cattivo gusto era per loro.
Poi non ci piacciono nemmeno le stesse canzoni. Immagina se ti avessi dedicato i Depeche Mode o i Cure. Saresti caduto in depressione e non avresti nemmeno capito bene il testo. Qualche gruppo che piace a tutti e due c’è ma non credo sarebbe stato l’ideale. Non avrei certo potuto dedicarti Orgasmatron dei Motorhead e nemmeno La canzone di Marinella del buon Faber. Forse qualche canzone adatta esiste ma, non l’ho scritta io, quindi il concetto sarebbe stato in ogni caso diverso da quello ideato nella mia testa. Si sarebbe avvicinato ma non sarebbe stato perfetto.
Avrei potuto parlarti a voce ma, io non sono brava a parlare. Poi le parole si possono fraintendere, si possono stravolgere, si possono dimenticare e ricordare completamente cambiate. Prima o poi l’età avanza, mica tra quarant’anni puoi ricordarti una cosa che ti ho detto in una giornata umida e piovosa del novembre 2012. Tu non ti ricordi nemmeno quello che ti ho detto ieri…
E le complicanze. Non dimenticarle mai! Potrebbe succedere che a me viene voglia di parlarti e tu hai da fare e quando sei libero a me la voglia è passata o ti guardo in faccia, mi viene da ridere e poi ci mettiamo a ridere tutti e due e affanculo il momento giusto! O ti dico una parola, da lì a te viene in mente che devi dirmi qualcos’altro e cambiamo argomento e poi io mi dimentico cosa ti stavo dicendo e… vai! Giù con tutti i ricordi dell’infanzia e dei traumi e delle leggende e quello che dovevo dirti non te lo dico più. E ci rimango male e non ci riprovo nemmeno.
Può capitare che un giorno vengo lì che ti voglio parlare e tu sei ubriaco e non capisci cosa voglio dirti o magari lo capisci però poi il giorno dopo non te lo ricordi più e devo ricominciare. Oppure sono ubriaca io, vengo a parlarti, sbiascico e tu non capisci o ti rendi conto che sono ubriaca e non mi prendi sul serio e io parlo a vuoto. No, i discorsi non vanno bene, sono troppo complicati e soggetti a variazioni.
Così, tra tutti gli altri eventuali milioni di metodi esistenti per lanciarti un messaggio -che no elenco se no ci perdiamo in chiacchiere inutili- ho deciso che questo è l’unico adatto. Tanto il mio blog sta lì, lo leggi quando e se vuoi, io sono tranquilla perché il peso me lo sono tolto e non ci penso più. Non c’è il rischio di perdere le mie parole perché restano incollate qui e dubito che qualcuno le rubi. Scrivere mi riesce meglio e mi imbarazza meno ed è, tutto sommato, più soddisfacente. Ti conservi questa cazzata e non c’è rischio di perderla, né tu né io. E poi io avevo bisogno di un mezzo di comunicazione stravagante e insolito, se no che figura ci faccio? Non sono mai stata una persona banale…
Comunque, tutto quello che voglio dirti è: Ti voglio bene. Tu dirai “Ma vaffanculo, tutto questo casino per ‘sta minchiata? Me lo dici tutti i giorni!”.
Lo so, ma questo è diverso perché, rispetto a quello degli altri giorni, non rischia di perdersi, di essere frainteso, stravolto, incompreso o cambiato dalla delirante tastiera del mio inutile cellulare.

 Il sottofondo ci sta sempre. Nulla di personale, nessun riferimento nel teso. Solo una questione di ricordi che condivido con te...

venerdì 16 novembre 2012

Violarancio e i suoi gatti

Violarancio ha tanti gatti, le si strusciano sui piedi, si accoccolano sulle sue gambe. Violarancio se ne frega se fa freddo o fa caldo, lei ha i suoi gatti. Non le importa se fuori piove, nevica o c'è il sole, se la sua acconciatura si rovinerà per colpa dell'umido, tanto lei non esce, ha i suoi gatti e se ne frega.
Il pelo dappertutto, sui vestiti e sui divani, Violarancio fissa il vuoto, beve caffè e accarezza i suoi gatti. Le dicono che casa sua puzza, che i mobili sono rovinati e le poltrone consumate, che i suoi gatti pisciano in giro e non si respira, Violarancio se ne fotte, lei a casa sua non vuole nessuno. Solo lei e i gatti.
Violarancio aveva una coperta, quando isieme a lei non ci dormivano solo i gatti. Aveva un letto che divideva con qualcuno che la riscaldava e le si strusciava addosso come i gatti. Poi un giorno la porta è rimasta aperta, quel qualcuno è uscito e non è mai più tornato. Violarancio non apre mai le porte, nemmeno le finestre, qualcuno potrebbe saper volare.
Violarancio aveva un comodino, pieno di lettere e sogni conservati, ce ne metteva uno ogni giorno, li collezionava e ogni tanto li guardava. Era bello guardare i sogni dormire sereni nel cassetto, ci stavano proprio bene lì!
Poi un giorno Violarancio ha cambiato casa e il comodino gliel'hanno perso quegli stronzi della ditta dei traslochi. Non ha più il comodino, il cassetto e insieme a loro anche tutti i suoi schifosissimi sogni.
Violarancio odia i comodini, odia i cassetti, a casa nuova non ne ha, tanto se non ci metti i sogni i cassetti non servono a niente.
Violarancio ha una casa nuova, tende graffiate, porte chiuse e nessun comodino del cazzo. Ha i suoi gatti che le pisciano in giro e le si strusciano sui piedi.
Violarancio sta bene così, non vuole nient'altro.
Violarancio ha una pistola che forse userà, la tiene sulle gambe insieme ai gatti.
Violarancio ha una pistola e tanti gatti sulle gambe, un giorno forse sbaglierà cosa accarezzare, la porta la dovranno aprire per forza. I gatti se ne andranno, Violarancio pure.

lunedì 5 novembre 2012

Immaginavo l'adolescenza

Quando ero piccola mi piaceva guardare mia zia mentre si preparava per uscire con i suoi amici. Aveva vent'anni e io appena quattro, forse cinque. Alzava il volume dello stereo al massimo, con grande disappunto di mia nonna, saltellava da una parte all'altra della stanza alla ricerca dei suoi vestiti neri e urlava parole, a me incomprensibili, di gruppi come i Cure o i Cult. Il massimo per me era quando optava per i Lifiba, così potevo sbraitare anch'io con lei.
Poi qualcuno bussava alla porta e, se non era mia nonna pronta per il cazziatone giornaliero, era il suo ragazzo avvolto in un paio di pantaloni di pelle e bandanda rossa in testa. Arrivava a bordo della sua fedele moto che metteva tanta ansia a nonna e che rombava più di un temporale in campagna.
Uscivano con i loro amici, mia zia aveva la stanza piena di fotografie scattate con loro e bilgiettini scritti per ogni occasione. E io, che avevo quattro anni o giù di lì, immaginavo la mia adolescenza così, con una barca di amici e fotografie sgualcite con le loro dediche dietro e bigliettini scritti per ogni occasione. Immaginavo che anch'io avrei avuto un ragazzo che sembrava uscito da un video dei Motorhead, immaginavo "ti amo" scritti su foglietti accartocciati e sussurati al limite di un falò incandescente la notte di San Lorenzo.
La mia adolescenza la immaginavo come un periodo fantastico di telefonate lunghe giornate intere con il telefono fisso e mia madre che, come mia nonna, mi avrebbe rinfacciato l'importo astronomico della bolletta, immaginavo un'adolescenza piena di appuntamenti con i miei amici fissati il giorno prima, perchè i cellulari non ci sarebbero stati e nemmeno le mail, magari ci saremmo incontrati sempre al solito posto. Immaginavo notti passate fuori e i miei genitori incazzati al mio ritorno perchè preoccupati non sapendo dove fossi e non avendo mezzi per rintracciarmi. Immaginavo concerti immortalati con i rullini che se poco poco avesser preso sole avrebbero mandato a puttane tutti i nostri ricordi. Immaginavo chiodi di pelle consumati come quelli di mia zia e dei suoi amici, immaginavo che avremmo portato anfibi ai piedi e avremmo collezionato bottiglie vuote di birra. Immaginavo nottate passate fuori a cantare con la chitarra e nessun cd, immaginavo audiocassette doppiate, con i titoli delle canzoni scritti a penna e copertine improvvisate, regalate, prestate e mai riavute indietro.
Immaginavo di scrivere lettere ai miei amici e ai miei amori occasionali, immaginavo di riceverle e di conservare tutto da qualche parte, in una scatola o in una busta.
E invece no, perchè ho avuto la sfiga di ritrovarmi adolescente in un'epoca che manda messaggi, scrive mail e non masterizza nemmeno più cd, la muscia la scarica da internet. Ho avuto la sfiga di finire in una generazione che le foto non le sviluppa, le posta su facebook e i bilgiettini non te li scrive manco per il cazzo!
Sono finita in un posto in cui trovare un chiodo di pelle è come cercare la città di Atlantide sporfondata chissà dove, al punto da chiederti se siano mai esisititi davvero, i chiodi di pelle, o se li hai solo immaginati come tutto il resto.
E mi ritrovo oggi, che ho quasi vent'anni e mia zia quacuno in più, ad ascoltare Sweet Soul Sister dei Cult, assaporando i colori sbiaditi di un video che mi regala immagini di un'epoca che trasuda apicità e di cui io ho nostalgia. Eppure io l'adolescenza me la sono dovuta subire con i cellulatri e le chat e la musica scaricata sull'i-pod. Ma non mi vergogno ad ammettere che, ogni tanto, ci ripenso e ci spero ancora che la mia stanza si possa riempire di fotografie e bigliettini e che qualcuno il "ti amo" me lo dica vicino a un falò o scritto sulla copertina improvvisata di un'audiocassetta.

martedì 9 ottobre 2012

Piove!

Piove, piove, piove e piove e io sono contenta!
Dopo giorni e giorni e giorni di depressione e misantropia sto tornando in attività. La pioggia mi risveglia sempre dal coma esistenziale.
La gente la odia ma a me piace perchè ho sempre pensato che quando c'è il sole le cose possono solo peggiorare. Se piove il tempo è già brutto (?) e le cose non possono precipitare.
Mia madre è il mio esatto contrario, diventa intrattabile, si chiude nel suo silenzio e chi s'è visto, s'è visto. Ma non voglio pensarci. Casa mia oggi non esiste.
Mi sento piena di vita, l'odore del bagnato mi rende allegra. Domani ho un fottutissimo esame che smorza un po' la mia euforia ma... pazienza. Non mi va di arrabbiarmi oggi. Mi sarebbe piaciuto molto di più restare fuori tutta la notte a sentire il freddo sulla pelle. L'unica cosa che forse mi manca davvero è qualcuno da abbracciare, mi intristisce il non avere nessuno affianco da riempire di abbracci quando sono contenta, non avere nessuno con cui condividere il mio momentaneo entusiasmo. Everybody needs somebody to hug.
Shh!! Questa frase mi ricorda una canzone che mi ricorda una notte d'estate che mi ricorda... BASTA! Christine oggi ha voglia di sorridere e lo farà, nulla le rovinerà la giornata.
Spero che la pioggia non vada via domani, che continui per tanto, tanto tempo. Almeno sono sicura di essere attiva e felice, qualsiasi cosa accada.
Lene Lovich rende l'atmosfera fetosa, il mio profumo nuovo ai fiori del dragone rende l'aria dolce, la mia volgia di uscire rende tutto più semplice.
Christine vuole imparare a sorridere e se piove sa che ce la farà, le serve solo qualche giorno e tanta buona volontà. Non deludetela anche questa volta. No, no, no!
Oggi sarebbe il giorno adatto a tingermi i capelli di fuxia, il giorno adatto per uscire a fare shopping e riempire il mio armadio di nuove stramberie ma il lavoro me lo impedisce. E' per questo che domani, dopo l'esame soddisferò il mio ego e lo rimpilzerò di affetti fittizi. Voglio prendermi per il culo, voglio lludermi di farcela questa volta, non fermatemi.
Questa settimana mi tatuerò, mi tingerò i capelli, mi vestirò per bene, mi riempiro la testa di molletine trash e uscirò allo scoperto, me ne andrò a testa alta in giro per il mondo.
Christine vuole far finta che, almeno questa volta, ci sarà il lieto fine. Che nessuno bruci i sogni di Christine.




giovedì 4 ottobre 2012

Cose che ho

Voglio stare ad aspettare
e leccarmi le ferite
sotto un cielo di stelle. 
 
Ho  una pila di libri di filosofia morale che mi parlano di disconoscimento, fallibilità dell'io, sensi di colpa e tradimento dell'identità, di maschere e identificazione. Sono libri che, indirettamente, mi parlano di me e che, involontarimanete, sono terapeutici. Ho una Camel Light spenta che mi pende dalle labbra e un pacchetto semivuoto che mi guarda sconvolto. Ho uno stereo che ripete canzoni di tanti anni fa e corde di basso che vibrano nell'aria. Ho un cassetto pieno di lettere scritte da persone che non ci sono più, che sono andate via, che sono volute andare via, che sono dovute andare via ma non volevano farlo. Ho una scatola di lettere scritte e mai spedite a persone che non possono riceverle, che non vogliono riceverle e che non possono riceverle perchè non le ho mai scritte, non le ho volute scrivere e non le scriverò. Ho un cofanetto con regali che profumano di altri tempi, che raccontano storie di infanzia e di adolescenza, di mare e di notti estive che si sono consumate al fumo di un falò e all'umidità dell'acqua, al sapore amaro della salsedine e al profumo delle creme solari e dei vini speziati. Ho un angolo in cui conservo ricordi strappati come carta velina di amicizie andate e amicizie mai consumate, colorate di lacrime e risate che sanno di cannella e giacche di pelle consumata. Ho un quaderno con foto appiccicate con la colla, con volti cancellati e dediche che hanno perso parole perchè ormai è troppo tardi. Ho un armadio pieno di vestiti e trucchi, matite colorate e incensi ancora pregni delle chiacchiere e delle risate di giorni che sono lontani come le casette costruite con i cartoni dove mi rifugiavo quando avevo paura e avevo quattro anni, che quando li guardi, li indossi, li usi o li accendi riempiono le stanze di fantasmi che ti accarezzano e ti baciano, che ti fanno paura però in fondo un po' di amore te lo lasciano. Ho un mobiletto pieno di diari sgualciti, macchiati, bruciati, che vomitano fogli e fogliettini colorati, fiori raccolti e regalati, carte di caramelle e cioccolatini di cui non ricordo il sapore, che piangono sabbia e vento e giornate amare e giornate dolci come i biscotti al miele di Nonna Papera che mi piacevano tanto quando ero piccola e avevo i capelli a caschetto e la bocca imbronciata. Ho zaini che sprizzano gioia e raccontano viaggi con le loro scritte sbiadite, i loro squarci e i loro odori, che quando li apro tirano fuori oggetti di cui non ricordo più nulla. Ho un paio di occhiali sporchi aggrappati al mio naso troppo importante per un faccino tanto bianco ed esile, che mi impediscono di mettere a fuoco con certezza le cose, che ogni tanto devo chiedere se ce la nebbia perchè non comprendo le immagini che si  offuscano all'improvviso. Forse è per questo che ho sempre guardato da sopra, anche se i contorni mi sembrano sfocati e le persone, da lontano,  ombre che galleggiano. Forse è per questo che ogni tanto li chiudo in una scatoletta. Perchè io ho una scatoletta dove ogni tanto chiudo gli occhiali che non mi fanno vedere bene e che hanno sempre le impronte delle mie dita sulle lenti. Perchè io ho le dita che, quando sono stanca di vedere bene, le piazzo sulle lenti degli occhiali e vedo la nebbia e tutto è diverso.

lunedì 1 ottobre 2012

Infinite Sadness

"Love is suicide" 'fanculo Corgan stai zitto una volta per tutte! Scusa...mi sono appena ricordata che sono io a mandare in loop la canzone. Ho bisogno di farmi male ogni tanto, non ascolterò mai una canzone allegra quando sono in queste condizioni. Mi verrebbe la nausea e quella già ce l'ho. Non voglio arrivare a vomitare.
Misantropia. Paranoia. Narcolessia. Idiozia. Disgusto. Chrisitine è tornata, la fase antisociale sta ricominciando e chi s'è visto, s'è visto.
Ho bisogno di bere litri di caffè, sgualcire un libro che possibilmente parli di qualcosa in cui riesca a immedesimarmi -Bukowski e compagnia bella hanno scritto per questo- macchiare magari il suddetto libro di caffè perchè fa mainstream, fumare una decina di sigarette in maniera ossessiva compulsiva, trovare qualcuno con cui ascoltare Mellon Collie and the Infinite Sadness che, insieme a Ok Computer dei Radiohead, fa sempre bene a chi, il masochismo, ce l'ha nel sangue, mettermi a piangere di gusto con il povero sfigato di buon cuore di turno che accetta di ascoltare quel fottutissimo cd con me e mettermi a parlare di pittura astratta e vecchie reminiscenze anni '90.
Ho ripreso le matite in mano e gli unici risultati sono, attualmente, disegni peseudopornograficieroticiblasfemi. Rivisito le principesse Disney in chiave borderline. A me il romanticismo e il rosa sono sempre stati sul cazzo. Penso che mi chiuderò in camera a guardare qualche film splatter-trash anni '80, consumero la mia matita nera per gli occhi all'inverosimile per rendermi irriconoscibile e me ne andrò a lavorare. Oggi di vedere fatine e folletti non me sbatte proprio niente, preferirei restare al buio sotto le coperte a reprimere i conati di vomito ma, tuttavia, non lo farò.
Sorriderò e voi mi sorriderete e sarà, come sempre, la solita farsa in mezzo alla gente.Sorriderò e voi riderete perchè ne avrete motivo, io no.
Sorriderò e voi vi girerete di spalle perchè non a tutti piacciono gli Smashing Pumpkins. E non a tutti piacciono le stornze vestite di nero che ascoltano i loro cd fino a consumarli.


venerdì 21 settembre 2012

Verso la fine

I lost myself in sorrow
I lost myself in pain.
I lost myself in clarity,
Memory, leave, leave.
 
I R.E.M. me lo stanno dicendo da più di dodici ore "Leave, leave", lascia, lascia tutto. Me l'hanno detto tutta la notte e continuano a dirmelo adesso e continueranno a dirmelo tutta la giornata. Non cambierò canzone, non ho la forza e la voglia per farlo.
Sono stesa sul letto, fisso il soffitto, ho una bottiglia di birra in mano, era nell'armadio ma quando ce l'ho messa proprio non me lo ricordo. Piango e mi fa male la schiena. Ho freddo, mi sento le ossa ghiacciate. A parte quello non sento poi molto. Mi fa male tutto, dentro e fuori e nel cervello. L'ennesima botta che prendo, cado e mi rialzo e ogni volta sono sempre più acciaccata. Questa volta è peggio, sono caduta di testa credo, mi fa male, tanto, tanto male. E non so se parlo del corpo o dell'anima.
Voglio aprirmi le gambe e vedere che cosa c'è dentro, voglio vedere che cosa c'è. Sto combattendo per non farlo, l'ho promesso a una persona ma è difficile. Non so quanto reggerò ancora, io ho bisogno di vedere il sangue. Scusami se ti deluderò. Io deludo sempre tutti.
Mi piace guardare la mia pelle bianca imbrattata di sangue. Un tempo volevo una pelle perfetta, liscia, bianca, senza imperfezioni. Ora non me ne frega più un cazzo. Provo una strana soddisfazione nel deturparla. Provo piacere solo quando sento dolore, solo quando la lama fredda si avvicina. Mi sento viva e mi sento morta. Riesco a sentire il rumore delle forbici e dei coltelli quando tagliano via i capillari.
Le mie gambe fanno schifo, così ricamate di graffi ancora di più.
Trovo soddisfazione nel mio corpo solo quando sanguina.
E non è questione che "hai solo vent'anni non è finita se non hai trovato la persona giusta", la storia è diversa. La storia è che se ne vanno tutti, anche tu lo stai facendo, non prendiamoci per il culo.
E la questione è anche un'altra, che io mi faccio schifo e mi sono stancata e non voglio più provare niente perchè a me brucia tutto. E che, comunque vadano le cose, io cado sempre e prima o poi la forza per rialzarmi non la trovo più.
        

martedì 18 settembre 2012

Borderline

Ho la testa tra le nuvole, mille cose da fare, tante voglie e poca forza. il mio umore altalenante mi manda in paranoia, i tic nervosi mi stanno aumentando, ho di nuovo quella specie di singhiozzo del cazzo che, ovviamente non mi farà passare inosservata. Io detesto essere notata per quello, mi piacerebbe se succedesse per una mia particolare abilità (ne ho?) non per i miei disturbi nevrotici. Speravo che con il tempo, l'età, le terapie, i Fiori di Bach sarei migliorata, invece sto peggiorando di nuovo. Sono sempre più a confine...e questo cazzo di confine non so dove finisce, se ha un limite, se si sposta, se l'ho passato e non tornerò mai indietro. La mia difficoltà nel relazionarmi agli altri è direttamente proporzionale alle mie crisi, più sto male, più mi si crea il vuoto intorno.
Ho voglia di tingermi i capelli, di riaverli lunghi, di uscire a guardare le stelle, di prendere l'ennesima sbronza e scordarmi chi sono, di fumare fino a poter infilare le dita nei buchi dei mie polmoni, di scopare fino a farmi male per poi ricordarmi che devo smettere di affezionarmi a chiunque decida di farsi un giro dentro di me, di stare nel bosco per giorni interi, di sentire l'odore degli Dei dentro e fuori, di inebriarmi la mente con i miei viaggi astrali, di ascoltare musica celtica e pensare che, sì, prima di morire dovrei fare un'orgia, tanto per provare. Ho voglia di fare cazzate e non pentirmene, di godermi questi sprazzi di lucidità apparente che potrebbero essere gli ultimi. Ho voglia di sentirmi normale e di trasgredire qualsiasi regola, voglio essere blasfema e trovare una nuova identità. Dovrei provare un corpo nuovo perchè questo ormai mi sta stretto, come i vestiti che non contengono più i miei fianchi in decadenza.
Ho voglia di sentirmi dire che sarò anche borderline ma va bene lo stesso, che anche se ho gli occhi gonfi e sbatto e piango e mi mangio le mani fino all'osso perchè "voglio vedere che c'è dentro", che anche se mi accovaccio in un angolo a fissare il vuoto spaventata e ad ascoltare le voci che girdano nella mia testa, che anche se ogni tanto farnetico di cose che vedo solo io, sono pur sempre bellissima. Non me l'ha mai detto nessuno, non l'ha mai pensato nessuno Del resto, perchè dovrebbero? Sento l'odore della mia decadenza e non è affatto dolce.

domenica 17 giugno 2012

A chi c'era

Avrei voluto non succedesse mai è invece le mie aspettative sono crollate nel giro di pochi istanti. Appena il tempo di rendermi conto di avere la gola asciutta, gli spasmi e la tachicardia. Gli attacchi di panico arrivano quando meno te l'aspetti. La mente si svuota, il corpo trema e le lacrime salgono, sgorgano come fiumi in piena. 
Ogni volta penso che sto per morire. Ho la sensazione che il mio corpo sbatterà sempre più forte fino a farmi scoppiare il cuore. 
"Perchè stai male Sarè?" "Non lo so... io non lo so". Non lo so davvero o il mio cervello sta solo ignorando per l'ennesima volta quello che non gli fa comodo? 
Piero lo sa che cosa mi sta succedendo. "E' stato il film?" "No Piè, non lo so..." "E' stato il film, ho ragione". Ha ragione, cazzo se ha ragione. Ma cosa? Io non lo so. Non ho molti ricordi, quando c'è qualcosa che tenta di farli riaffiorare la stronza nella mia testa si ribella. Io sto male per cose che non ricordo. 
Non volevo che succedesse, non volevo mi vedessero mai in quelle condizioni, sudo, mi fa freddo e piango in maniera sconsiderata. Sono imbarazzante quando piango. 
Le luci mi pungono gli occhi mentre bevo una camomilla doppia, è l'unica cosa che più o meno mi calma. Vorrei infilarmi le unghie nella carne, vorrei aprirmi le gambe e vedere cosa c'è dentro, se almeno dietro la mia pelle c'è qualcosa. Forse c'è il vuoto anche lì. 
Per la prima volta c'è qualcuno accanto a me, ci sono tante persone.Mi tengono ferma, mi accarezzano, ascoltano i miei deliri, mi abbracciano, mi tengono la mano per non farmi graffiare. Non mi sento sola, nessuno aveva mai fatto questo per me. 
Ho paura che pensino che io sia pazza. Non voglio perderli, ora che ci sono non posso andarsene come hanno fatto tutti gli altri. 
"Io voglio essere normale..."
So che non voglio tornare a casa, che ho bisogno di qualcuno che mi abbracci per almeno altre due ore, poi posso anche tornare da sola. Per ora voglio solo sentire il calore di qualcuno addosso contro la mia pelle ghiacciata, ho bisogno di rendermi conto che sono ancora viva e che, anche dopo tutto questo, c'è chi non scappa.
Ora sapete tutto di me, avete visto anche i momenti peggiori. Non so parlare, riesco solo a mettere i pensieri da qualche parte, ma dalla mia bocca non usciranno mai. 
Ho sempre avuto la sensazione di avere qualcosa troppo grande per questo corpo, qualcosa che vive dentro di me e che preme per uscire, vuole esplodere. Ogni tanto si risveglia e mi fa male. 
Ho sempre voluto essere normale, non avere miliardi di tic nervosi al secondo. Today I'm dirty, I want to be pretty...
Sta notte non mi sono sentita sola, non siete andati via e questa è la cosa più bella che potesse succedere.
Restate, per piacere.

sabato 9 giugno 2012

Ho quasi vent'anni

Ho quasi vent'anni, non ho ricordi della mia infanzia se non qualche sporadico episodio, la gente entra ed esce dalla mia cerchia di rapporti sociali lasciandomi profonde ferite sempre più vicine alla giugulare. Ho quasi vent'anni, mille progetti sconclusionati per il mio futuro, sono anche convinta che morirò molto giovane. Perchè continuo a pianificare allora?
Ho quasi vent'anni, rido in continuazione anche se dentro schiatto come un animale al macello. Ho quasi vent'anni e non sono sicura che ne avrò mai vent'anni pieni, tutti se ne vanno, forse dovrei farlo anch'io. Non lo faccio perchè non posso sopportare l'idea di perdere tutto questo, di perdere quelle poche cose che ho. Quante altre persone se ne andranno? Quanti altri mi lasceranno col culo a terra, uno zaino di delusioni e gli occhi piene di lacrime che sarò costretta a ricacciare indietro? Andatevene dritte per i mie condotti lacrimari senza fare rumore e senza attirare l'attenzione.
Ho quasi vent'anni e ho una paura maledetta di restare da sola.
Ho quasi vent'anni e ho bisogno di un abbraccio, lungo e penetrante.
Ho quasi vent'anni e ho bisogno di volere bene a qualcuno, davvero.
Ho quasi vent'anni e ho un bagaglio di bisogni, ma non diciamolo a nessuno.

giovedì 24 maggio 2012

Cenere e lacrime

Cosa è successo? E' come risvegliarsi da un lungo sonno e rendersi conto che dimenticare è impossibile. Manuel Agnelli urla dalle casse dello stereo "Vieni a fare un giro dentro di me o questo fuoco si consumerà da sè". I fotogrammi di una vita che non tornerà passano dietro le palpebre uscendone irrimediabilmente stropicciati. Sentire le mani di qualcuno che non c'è sulla pelle, sentirne le parole, l'eco dei ricordi sotto i passi amplificati nelle strade all'una e mezza di notte.
Amore ti ricordi di quando ero sbagliata? E ti ricordi di quando le mie gambe erano troppo fragili per reggersi da sole? Amore ti ricordi di quando correvo e sfuggivo? Ti ricordi di quando ero pazza e poi sono guarita?
No, non ti ricordi. Lo ricorda la mia testa riccia malata. E lo ricorda la mia pelle troppo bianca per nascondere i segni di una storia che non passerà.
Questi ragazzi di oggi non sanno amare, non sanno vincere. Perdono e bevono. Ingollano alchol e stanno zitti.
"C'è qualcosa dentro di me che è sbagliato e non ha limiti. C'è qualcosa dentro di te che è sbagliato ma ci rende simili". 
E' così che si finisce a mangiare cenere e lacrime in compagnia dei ricordi. O forse no?

martedì 22 maggio 2012

Vino, abbracci e fili colorati

Buio nelle strade, il vociare di noi ragazzi, una bottiglia di vino e le risate. Qualcuno si siede sui gradini a parlare con gli altri, io resto seduta al tavolino di plastica consumato. Guardo il vuoto e penso che avrei voglia di un abbraccio, ne ho bisogno quando sono ubriaca. Mi guardo intorno, il cielo su di me ha appena cominciato a girare, ripiego la testa e osservo. La mia amica mi accarezza la testa e mi dice che sono tenera, io le rispondo che le voglio bene. Sono l'ultima arrivata del gruppo. Avrei voluto essere lì con loro da più anni, mi sento a casa. 
Ho paura che non mi credano quando dico che sto bene con loro, che mi sono affezzionata, ho paura che le mie parole di giovane avvinazzata non vengano prese sul serio. In realtà io parlo davvero solo in quei momenti.
Abbracci, uno dietro l'altro, una serie di "ti voglio bene" apparentemente ricambiati. Depressione e allegria si scambiano di posto in un gioco altalenante che fa più male dell'alchol che riempie il mio fegato.
Mi avvicino a lui e lo abbraccio, è tanto magro, ha un profumo familiare ma non riesco a ricordare quale. Devo dirgli qualcosa, mi sono avvicinata per questo, ma me ne dimentico o forse no? Forse lo so cosa devo dirgli ma, per evitare errori, ci rinuncio. E' bellissimo, troppo... fa male agli occhi per quant'è bello.
L'abbraccio si scioglie e io mi sento male, guardo gli altri che mi stanno intorno. Ho bisogno di qualcuno che mi abbracci. 
Non so dove sedermi, tutto mi sembra scomodo, non mi piace niente. Nessuna sedia, nessun, gradino, non mi va di stare in piedi. Voglio stare tra le braccia di qualcuno. 
Mi vengono in mente tutti i baci dati nella mia vita, tutte le volte che le labbra di qualcuno hanno sfiorato le mie. Sento lo stomaco contrarsi in memoria di quei tempi andati, ricordo i sapori di tutte le persone che mi hanno lasciato un po' del loro amore. Penso che mi piacciono i baci, anche se durano poco, anche se dopo spariscono insieme a chi te li ha poggiati sulla bocca. Li immagino come fili colorati che si intrecciano, ti scendono giù per la gola fino a toccarti lo stomaco, si arrampicano alle pareti come rami d'edera, non è facile strapparli via. 
Mi chiedo quanta gente abbia baciato i miei amici. Pochi? Tanti? Nessuno? Non ho il coraggio di chiederglielo, per me è una cosa seria ma le parole mi si appiccicano al palato.
E' notte, ma non è tardi, non c'è nessuno a baciarmi. Nel frattempo mi sono seduta su un gradino, devo alzarmi. Il cielo riprende a ballare sulla mia testa. Anche il mio cervello sta ballando.

sabato 12 maggio 2012

Le ombre

Guardava le ombre nella stanza, senza capire da dove arrivassero. Erano tante ed erano sedute sul suo letto, questa era l'unica cosa di cui era sicura. Le succhiavano energia come tante cannucce invisibili e pungenti come aghi. Sentiva gli spilli nella carne, il suo corpo si stava addormentando, poco a poco. La luce fioca e il sudore sulla fronte, le ricordavano che, sì, era ancora viva. 
"Muoio, sto morendo cazzo" quel pensiero le strisciava nero tra gli anfratti più nascosti del cervello e aumentava il panico. Sentiva la paura seduta sul suo stomaco come un grosso animale che non accenna a volersi spostare. Paralisi.
Le ombre le giravano attorno, la chiamavano, era il suo nome quello che sentiva echeggiare nella stanza, proveniva da un'altra parte, le voci erano dentro o fuori?
Cercò di alzarsi, non ci riuscì. Sgranò gli occhi quando uno di quegli esseri senza volto le si avvicinò, fino a sfiorarle il viso. Le entrò dentro. Dolore. Buio. Tutto nel giro di qualche frazione di secondo. Poi più nulla.