Bene, mancano pochi giorni alla fine di quest'anno, è la vigilia di natale e, io mi sento leggera.
Non ho mai comprato così tanti regali e non perchè non ne avessi voglia, perchè semplicemente non avevo poi così tanti amici a cui farli.
Per la prima volta mi sono trovata a sgambettare su e giù per le strade alla ricerca di qualcosa di adatto, qualcosa che potesse piacere, forse solo un simbolo per farvi ricordare di me e dirvi "Ei! Ci siete e sono contenta, sappiatelo!".
Per la prima volta ho passato giornate intere a scrivere bigliettini, ad accartocciare foglietti e a riscriverli perchè le parole non sembravano mai quelle che avevo in testa e non sembravano mai all'altezza di ognuno di voi.
Per la prima volta mi sono ritrovata a dire a mia madre "Io al cenone del 25 non ci sono, sto con i miei amici" e già mi immagino seduta con voi a tavola a ridere come solo con voi so fare.
Per la prima volta sono felice che sia festa, perchè so di non essere sola, so che ci siete voi e che ora che ci siete non vi perderei per niente al mondo. Che se mi dovesse scappare una lacrima ci sarete voi a farmela sostituire con una rumorosissima risata
Per la prima volta, a pochi giorni da Capodanno, sono seduta a scrivere il resoconto di un anno che si prospettava pessimo, che mi ha riservato tante brutte sorprese, che non ha perso l'occasione di farmi cadere senza darmi una mano per rialzarmi ma che, tra un pianto e l'altro, mi ha fatto il regalo più bello: conoscere voi.
Non ho mai avuto troppi amici, non ho mai avuto così tanta voglia di uscire la sera per incontrare qualcuno e passarci le ore senza sentirmi fuori posto. Non ho mai abbracciato e detto "ti voglio bene" a così tante persone, non ho mai avuto così tanta gente intorno pronta a restare con me, qualsiasi cosa accada.
E per quanto questo 2012 sia stato un anno profondamente del cazzo che ha portato una ventata di casino nelle case e nelle teste di tutti noi beh, io lo ricorderò sempre e lo ricorderò con piacere.
L'uragano che ha sconvolto la mia vita mi ha spinta a camminare nel deserto fino a farmi trovare quell'oasi felice che siete voi.
L'idea di un nuovo anno che si avvicina mi rende felice, l'idea di un nuovo anno insieme pieno di progetti e giornate da passare insieme mi fa sentire fortunata. Scriverei qualcosa per ognuno di voi ma, abbiate pazienza siete troppi e mi ci vorrebbero giorni per farlo.
Una cosa però la dico a tutti, vi voglio bene ragazzi, davvero!
lunedì 24 dicembre 2012
sabato 1 dicembre 2012
La pantera azzurra
Cassandra guidava nella pioggia, il caschetto di capelli
castani perfetti intorno al viso, gli occhi grandi, fissi sulla strada.
Le facevano male le dita per il freddo, gettò il mozzicone
di sigaretta macchiato di rossetto rosso dal finestrino. Lo vide scivolare
lontano lungo la strada. Aveva le palpebre pesanti e il cuore le batteva
veloce, troppo veloce. Lo stereo cantava, le note aprivano un varco temporale
nella sua mente, Cassandra aveva paura, le tremavano le mani e il respiro si
faceva sempre più pesante. Premette il piede sull’acceleratore e si avviò verso
casa. Doveva sbrigarsi, doveva scendere dalla macchina.
I battiti del cuore si facevano sempre più pressanti,
sentiva la vena sulla tempia pulsarle e ricordarle che stava per avere un
attacco di panico.
Scese dall’auto e incespicò con i tacchi sull’acciottolato
scivoloso, perse l’equilibrio e riprese la corsa verso il portone. Le si stava
asciugando la gola. Immagini confuse le riempivano la memoria, i fantasmi del
passato stavano tornano.
Si chiuse la porta alle spalle e fissò assente i quadri
appesi alle pareti, Cassandra si accasciò per terra.
La bambina con i capelli castani se ne stava sulla soglia
delle scale, in attesa. Calda nel suo pigiamino con i dinosauri colorati, il
suo preferito, stringeva tra le braccia una pantera di stoffa celeste. Più che
una pantera era un blasfemo incrocio tra un felino e un orso. Era un
panterorso.
Sua madre le accarezzò i capelli a caschetto, lisci e
immobili «Va’ a letto». La bambina scosse la testa, la frangetta negli occhi «No,
devo aspettare papà», la madre sospirò «Non sarà contento di trovarti ancora in
piedi, vieni a letto», la piccola parve non sentirla e continuò a coccolare il
suo panterorso.
La donna le voltò le spalle e andò a letto, lei invece rimase
lì, accovacciata sul pavimento di marmo freddo ad aspettare.
Un rumore di chiavi infilate nella toppa fece gioire la
bambina, suo padre era tornato! «Papà!» si gettò tra le braccia dell’uomo
barcollante. Aveva lo sguardo vitreo, era magro, il viso sudato e perso nel
vuoto. Probabilmente aveva bevuto, con
molta più probabilità aveva infilato un ago nel braccio permettendo alla
morte di spianarsi la strada. «Perché sei in piedi Cassandra?» sbraitò,
Cassandra sussultò «Ti aspettavo… dove sei stato?». L’uomo grugnì, sollevo sua
figlia prendendola per il collo e la premette contro il muro.
La bambina spalancò gli occhi, vide il suo panterorso
scivolare dalle sue mani, le bruciavano le spalle per il dolore. La parete
fredda le premeva contro la schiena, le mani di suo padre le stringevano il
collo esile, non riusciva a respirare. «Il panterorso! Lo voglio! Papà mi fai
male!», l’uomo sentì l’adrenalina diffondersi lungo le braccia, la testa
leggera. «Te lo faccio vedere io cosa facciamo a questo pupazzo adesso».
Lasciò cadere la bambina e si avventò sul pupazzetto
celeste. Cassandra piangeva, Cassandra urlava. Il mostro tirò fuori un coltello
dalle scarpe, lo teneva ben stretto nei calzini e lo puntò contrò il giocattolo
di sua figlia «Nooo! Lascialo! Lascialoooo!». Suo padre rise mentre sventrava
il panterorso. Lo stomaco di pezza rigurgitò un cuore di ovatta bianca,
consistente come le nuvole.
Gli occhi di Cassandra riversarono lacrime «Cattivo! Sei
cattivo! Panteroorsooo!» pianse picchiando con i pugnetti chiusi sulla schiena
di suo padre e cercando di ricucire le ferite del suo amico di stoffa.
L’uomo la risollevò prendendola per il collo e le puntò
contro il coltello. La bambina scossè la testa e sgranò gli occhi.
«Cassandra! Rispondimi, Cassandra!» la ragazza con i capelli
a caschetto castani rivide il mondo comparire intorno a lei. Il ragazzo la
guardava negli occhi e la scuoteva per le spalle. Cominciò a piangere
ricordando il suo panterorso. Ricordò l’ovatta riversata sul pavimento, le mani
di suo padre intorno al collo, la lama fredda sotto il mento e il dolore
lancinante alla schiena. Cassandra pianse.
Quella notte la ragazza infilò un coltello sotto il cuscino,
in segno di lutto per il suo panterorso. In segno di lutto per un padre, vivo
da qualche parte, morto da tempo nei suoi ricordi.
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