martedì 14 maggio 2013

Il corpo che non vuoi



Corpi disfatti, decadenti. Corpi imperfetti, incompleti. Corpi abbozzati e dimenticati.
Ne ho avuto milioni, membra abbandonate nei cassetti della memoria.
Li ho lasciati lì come gusci vuoti, li ho cambiati, ci ho provato con tutta me stessa ma nessuno mi ha mai soddisfatta.
La difficoltà del guardarsi allo specchio è la peggiore. La consapevolezza di non avere il contenitore giusto.
Scatole, dentro scatole. Scatole cinesi che conservano minuscoli agglomerati di desideri e dolcezze. Io che non sono quello che sembro, io che non sono quello che si aspettano. Io che non sono e forse non sarò mai.
Riempirsi di vane speranze e vana gloria. Riempirsi per non sentire il peso della leggerezza. Ridere per non lasciare spazio al vuoto e sentire quant’è ingombrante.
Io che ho un corpo e non l’ho mai voluto. Troppo esile, mi piego al vento che mi porta altrove.
Io che dovrei essere altrove e sono qui a raccontare. Io che racconto e non parlo.
Io che ho decorato questo tempio in rovina, l’ho inciso coi coltelli e ci ho guardato dentro e ci ho trovato solo il fumo delle mie mancanze.
E il macigno delle parole altrui che grava sulle spalle malandate, le ossa fragili che, lo so si spezzeranno.
L’ansia di gonfiare quest’armatura trasparente, l’ansia di vedere la pelle bianca tendersi fino a prendere nuova forma.
Ingoio storie dimenticate, ingoio rancori, mando giù bocconi amari. Mando giù quello che mi passa davanti per non sentirmi poi così magra come dicono.
La pazzia di voler essere meno filiforme. La volontà di avere delle curve su questo rettilineo indecente.
E reprimo i conati che si affacciano alla gola ogni volta che spingo qualcosa nell’esofago. Mi costringo a non farlo per loro, per me. Per me e per loro.
Mi costringo a fare quello che queste gambe di stoffa rifiutano per essere normale e non sparire.
E rimando indietro i conati per non sentirmi in colpa.
E rimando indietro le lacrime a ogni parola contro di me che mi si mette di traverso come un coltello tra gli occhi e i pensieri. E rimando indietro tutti i “vaffanculo” che avrei voluto urlare ogni volta che qualcuno mi ha rinfacciato di essere piccola come sono.
Si rifiuta il mio stomaco e mi rifiuto io di andare contro i vostri malsani desideri. Vi assecondo e mi assecondo. Mi sfondo e mi affondo. Fino all’ultimo boccone.
Questo è il corpo che ho e non posso cambiarlo. Questo è il mio corpo e me lo devo tenere.
Questo è il mio corpo, il corpo che non vuoi e il corpo che non voglio.

Nessun commento:

Posta un commento