Corpi disfatti, decadenti. Corpi imperfetti, incompleti.
Corpi abbozzati e dimenticati.
Ne ho avuto milioni, membra abbandonate nei cassetti della
memoria.
Li ho lasciati lì come gusci vuoti, li ho cambiati, ci ho
provato con tutta me stessa ma nessuno mi ha mai soddisfatta.
La difficoltà del guardarsi allo specchio è la peggiore. La
consapevolezza di non avere il contenitore giusto.
Scatole, dentro scatole. Scatole cinesi che conservano
minuscoli agglomerati di desideri e dolcezze. Io che non sono quello che
sembro, io che non sono quello che si aspettano. Io che non sono e forse non
sarò mai.
Riempirsi di vane speranze e vana gloria. Riempirsi per non
sentire il peso della leggerezza. Ridere per non lasciare spazio al vuoto e
sentire quant’è ingombrante.
Io che ho un corpo e non l’ho mai voluto. Troppo esile, mi
piego al vento che mi porta altrove.
Io che dovrei essere altrove e sono qui a raccontare. Io che
racconto e non parlo.
Io che ho decorato questo tempio in rovina, l’ho inciso coi
coltelli e ci ho guardato dentro e ci ho trovato solo il fumo delle mie
mancanze.
E il macigno delle parole altrui che grava sulle spalle
malandate, le ossa fragili che, lo so si spezzeranno.
L’ansia di gonfiare quest’armatura trasparente, l’ansia di
vedere la pelle bianca tendersi fino a prendere nuova forma.
Ingoio storie dimenticate, ingoio rancori, mando giù bocconi
amari. Mando giù quello che mi passa davanti per non sentirmi poi così magra
come dicono.
La pazzia di voler essere meno filiforme. La volontà di
avere delle curve su questo rettilineo indecente.
E reprimo i conati che si affacciano alla gola ogni volta
che spingo qualcosa nell’esofago. Mi costringo a non farlo per loro, per me.
Per me e per loro.
Mi costringo a fare quello che queste gambe di stoffa
rifiutano per essere normale e non sparire.
E rimando indietro i conati per non sentirmi in colpa.
E rimando indietro le lacrime a ogni parola contro di me che
mi si mette di traverso come un coltello tra gli occhi e i pensieri. E rimando
indietro tutti i “vaffanculo” che avrei voluto urlare ogni volta che qualcuno
mi ha rinfacciato di essere piccola come sono.
Si rifiuta il mio stomaco e mi rifiuto io di andare contro i
vostri malsani desideri. Vi assecondo e mi assecondo. Mi sfondo e mi affondo.
Fino all’ultimo boccone.
Questo è il corpo che ho e non posso cambiarlo. Questo è il
mio corpo e me lo devo tenere.
Questo è il mio corpo, il corpo che non vuoi e il corpo che
non voglio.
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