mercoledì 29 aprile 2015

Confessioni di un' OCD

Ho 22 anni e un disturbo OCD forse da quando sono bambina.
Essere un OCD significa avere un’etichetta incollata addosso, un’etichetta bastardissima perché mostra agli altri quello che sei ma senza spiegazioni.
È un po’ come raccontare solo la fine di una storia, senza premesse, senza passaggi intermedi, senza un minimo di senso logico.
Soffro di tic nervosi che cambiano di continuo, sono un camaleonte mutevole e ansioso.
Ho cominciato semplicemente sbattendo le palpebre più del dovuto, poi ho continuato flettendo il collo sulla spalla. Poi è arrivata la lingua che schioccava. Un bel giorno mi sono svegliata con gli spasmi e un fastidiosissimo tic vocale. Un verso, a volte impercettibile, ma io lo sento e il volume per me è altissimo.
In pubblico mi vergogno e non poco, la gente non è sempre discreta e fa domande. Rispondere è la cosa più difficile che possa fare.
Io non so spiegare perché faccio così, in fondo non sono io a farlo, è il mio corpo che si ribella quando sono sovraccarica.
Non so sfogarmi, non so esprimere le mie emozioni in maniera corretta.
A volte sono completamente incapace di mostrare quello che provo, sono una scatola a chiusura ermetica. Se dovessi aprirmi temo che farei la fine del vaso di Pandora.
In fin dei conti è così, quando riesco a esprimermi lo faccio in maniera esagerata.
Sto zitta o urlo.
Sono estremamente calma o estremamente isterica.
Completamente anaffettiva o iperaffettiva.
Nella mia scala di colori non esistono sfumature, per me c’è solo il bianco o il nero, tutto quello che passa di mezzo temo di non averlo mai visto.
Mi piacerebbe vedere, anche solo per un’ora, il mondo a colori. Solo per capire che effetto fa.
Il mio umore è quanto di più indescrivibile esista. Non riesco a mantenere lo stesso stato d’animo per più ore di fila.
L’altalena si muove avanti e indietro tra l’euforia più sfrenata e il totale rifiuto degli altri esseri umani.
Rido o piango di gusto. Altro non so farlo.
Il rapporto sociale è difficile, a volte ho seriamente paura di essere toccata, mi fa schifo l’idea che qualcuno possa avvicinarsi a me oltre il dovuto, anche se si tratta di un parente o di un amico. Non è cattiveria è che non ci riesco.
Altre volte esagero nel senso opposto, mi piacerebbe abbracciare tutti, mi piacerebbe che tutti mi toccassero e mi dimostrassero affetto fisicamente. Essere rifiutata mi turba.
Vivo qualsiasi evento apparentemente normale come un abbandono. Un saluto più flebile per me è un trauma.
Sono ossessionata dalle cose, dai miei pensieri, da ciò che mi piace, da ciò che odio, da ciò che amo, da ciò di cui ho paura. Tutto per me si trasforma in un’ossessione di cui non posso fare a meno.
Non conosco limite.
So che per una persona non affetta da OCD tutto questo possa risultare folle, pericoloso, spaventoso e incomprensibile. Forse è per questo che non riesco a tenere nessuno al mio fianco per più di un periodo limitato.
Mi piacerebbe far entrare le persone nella mia testa, mostrare loro quello che succede, cercare di far comprendere che i miei comportamenti a volte non sono spontanei non perché io non lo voglia o perché io non mi sforzi di farlo. Io non ci riesco, esiste una barriera tra me e il mio corpo, tra me e i miei pensieri che sfugge fuori dal mio controllo e mi rende ingestibile. Persino per me stessa.
Non sono mai riuscita a spiegare a nessuno quello che provo perché io non lo so.
Sento un groviglio dentro che probabilmente non riuscirò mai a districare ma, posso assicurare, che ci provo ogni maledettissimo giorno, senza sosta.
Forse un giorno riuscirò a uscirne.
È una battaglia continua contro il mondo ma, soprattutto, contro me stessa.

E, credetemi, combattere contro se stessi è molto peggio che dover combattere con l’esterno.

lunedì 9 marzo 2015

Ero bellissima



Ero bellissima.
Un tempo lo ero.
È cominciato tutto quella fottuta estate del 2008, quando nel parcheggio mi disse che non potevamo stare insieme. Gli acidi erano sicuramente più interessanti della giovane darkettona che ero.
Se n’è andato così il primo strato di pelle lucida e perfetta, insieme all’ombra di un tossico che si è perso per strada e nessuno ha mai più mai più visto.
E io me la ricordo ancora quella sera d’estate, con i pantaloncini neri e la maglietta di Batman, col vuto negli occhi sulla via del ritorno.
Poi c’è stata lei, che pensava di essere lesbica, non aveva mai avuto un ragazzo. C’ero solo io. E per me lei era tutto, ho ancora i suoi cimeli da qualche parte, regali che, negli anni, hanno continuato a trapassarmi il cuore ma non c’ho fatto caso e ho tenuto tutto.
Un giorno ha capito improvvisamente che in fondo, in fondo, il cazzo le piaceva. Ho incassato il colpo e sono andata avanti, con la testa più bassa del solito e la faccia un po’ più consumata.
E poi è stato il turno di quello che mi voleva inchiodata a lui, come un atroce Gesù Cristo in croce.
Non ho retto, perché io non ce la facevo a stare tutto il tempo con i chiodi nelle mani senza dire niente.
Sono scappata.
Da lui, da me. Da me.
A quel punto avevo già perso gran parte della mia bellezza. Magra, smunta, straimbottita di tranquillanti. Ma ero in piedi.
Mi nascondevo e basta. Lo sapevo già di aver perso. Quello è stato il giorno in cui ho capito che sarei scivolata nel baratro.
E il coltello ce l’avevo, per farla finita, per smettere di consumarmi. Era il momento di arrestare la decadenza.
È stato allora che è arrivato lui, con una bottiglia di vino e tutto il buon senso per farmi fermare.
Ho gettato il coltello e mi sono presa lui.
Tanto i tagli si son fatti lo stesso.
Ho seriamente creduto, per anni, che niente sarebbe stato mai più come prima.
Ho seriamente creduto che sarei tornata bellissima e che lo sarei rimasta per il resto dei miei giorni.
Quello è stato il giorno in cui ho firmato la mia condanna.
Perché poi di tutto lo splendore non è rimasto niente, io sono diventata ingombrante, insoddisfacente.
Io non sono più la persona perfetta che ero.
Né per me né per lui.
E adesso?
Adesso c’è solo una maschera distrutta dal tempo, dalle ferite, da tutti i tentati suicidi andati a puttane insieme a tutti quelli che sono entrati nella mia vita per prendersi il meglio di me e tornare a farsi i cazzi propri.
Il problema è che vi siete portati tutto, a me avete lasciato solo le cicatrici e la consapevolezza che non farò entrare mai più nessuno nella mia vita e che non ho più nemmeno un cazzo da dare.
Che farò?
Non lo so, forse continuerò a strafarmi di Xanax fino al resto dei miei giorni.
Forse riuscirò finalmente a liberarmi.
Ancora non lo so.
Per ora, piango.
Ora come ora, sono orribile.

venerdì 23 gennaio 2015

Memorie di un amore. O di quando ti ho perso



Tre anni fa quello era il vino più dolce.
Tu che mi rincorrevi e io che scappavo.
Adesso è tutto diverso, sono io che cerco te in ogni singolo angolo della mia esistenza.
Ti cerco nei giorni che non ci sono più e ti tiro fuori a forza, con le mani che mi tremano e gli occhi lucidi.
Ti ricordi amore di quella notte meravigliosa, del caldo e dei sorrisi?
Quello era il vino più dolce che io abbia mai bevuto.
Ti cerco nelle parole pronunciate, in quelle ancora aggrappate alle labbra che forse mai rotoleranno giù, ti cerco in ogni singolo sorriso, in ogni secondo che passa e tu non ci sei.
Ti ricordi amore quando tremavo e non riuscivo a smettere?
Ti ricordi amore di tutte le notti passate ad aspettare l’alba?
Mi piaceva guardare l’alba con te, sperare che domani sarebbe stato perfetto come ogni secondo con te affianco. E ora che non ci sei l’alba non la guardo più, mi nascondo tra le lenzuola per non permettere al primo raggio di sole di accarezzarmi.
Ti ricordi i viaggi, il mare, l’acqua calda della spiaggia di notte?
Ti ricordi che io ero la tua bambina e lo sarei stata per sempre?
Mi hai insegnato a respirare e, ora che non ci sei più ho dimenticato come si fa anche quello.
Ti  cerco nella mia fretta disperata di cambiare tutto, nel mio frenetico fare/disfare valige.
Andrò via e lo farò senza di te, uno sputo in faccia a tutti i maledetti progetti che riempivano la mia testa e le mie agende.
Te la ricordi Berlino?
La volevamo a tutti i costi e ora… ora sono rimasta solo io a rincorrerla con le ultime forze che mi restano.
Te le ricordi le giornate passate a letto a guadarci negli occhi senza dire niente?
Te lo ricordi il mio profumo alla vaniglia?
Ero la tua Vaniglia, dicevi.
Ora non lo uso più, ho cambiato odore per scappare dalla voglia di farmi abbracciare.
Te li ricordi i piedi sul cruscotto, durante un lungo viaggio in un luogo che non esiste, con il caldo che faceva ballare la strada?
E le canzoni? Te le ricordi quelle?
Quando cantavamo per strada ubriachi, la notte, fregandocene di chi poteva svegliarsi.
C’eravamo noi e quello bastava.
C’eravamo noi.
E adesso dove siamo?
Dimmi, tu dove sei?
Ci siamo persi tra le foglie che raccoglievamo in un quaderno verde, tra i sassi che ci portavamo al ritorno di ogni viaggio, tra i “ti amo” e i “vaffanculo”.
Eppure anche quelli erano bellissimi, con la certezza che il giorno dopo li avremmo cancellati con un bacio e un giro tra le lenzuola.
E non è rimasto più niente, se non la mancanza disperata, il folle tentativo di ritrovarti da qualche parte ad aspettarmi.
Io sto scappando da me stessa e ti porto ancora dentro, come un macigno insostenibile, come la più dolce delle maree.
Il mio tutto e il mio niente.
Quello che mi manca, quello a cui non manco.
Quello che a cui appartengo, quello che non mi appartiene.
Il mio più grande amore e il mio più grande dolore.
Il mio inizio e la mia fine.