mercoledì 5 novembre 2014

Clic. Frammenti dell'Isola Grigia.

Apri gli occhi.
Clic.
Chiudi gli occhi.
Clic.
Riapri gli occhi.
Clic.
Cosa vedi?
Non vedo. Semplicemente non vedo.
Dottoressa che mi implori di sforzarmi e dirti cosa vedo, ti riconfermo il vuoto dei giorni passati.
C’è qualcuno che bussa dietro la porta, avrebbe più senso farlo entrare che lasciarlo lì. Tanto io non vedo.
Apri gli occhi.
Clic.
Chiudi gli occhi.
Clic.
Riapri gli occhi.
Clic.
E ora cosa vedi?
Vedi il vuoto di prima, vedo fotogrammi della mia tachicardia che si avvicinano e non mi piacciono nemmeno un po’.
Mi si stringe un nodo alla gola e spero che questo sia l’ultimo cappio, quello più stretto, quello definitivo. Perché dopo un po’ ti stanchi di respirare.
Tornare all’Isola Grigia non mi ha fatto bene.
Siamo tutti peggiorati.
Donna Filomena non porta nemmeno più i cappellini colorati.
Apri gli occhi.
Clic.
Chiudi gli occhi.
Clic.
Riapri gli occhi.
Clic.
E adesso?
Otto gocce di Tavor mentre la lingua si morde da sola, il mondo si distende, scioglie i suoi grovigli di matassa infeltrita.
Otto gocce di Tavor mentre mi acquatto sotto il letto come un mostro della polvere. Voglio stare nascosta, impolverata dalle mie memorie di puttana triste.
E tu Dottoressa, cosa vedi?
Vedi quello che vediamo noi seduti su questa seggiolina di plastica consumata?
Vedi quello che vediamo noi con i polsi consumati e le sinapsi mangiate dal tempo?
Dottoressa non capisci che non ce ne frega un cazzo di quello che vediamo.
All’Isola Grigia nessuno vede più.
Questo è un limbo e noi aspettiamo la sentenza.
Chi sarà il boia non lo sappiamo e neppure ci interessa.
Potrebbe essere chiunque, anche noi stessi.
Otto gocce di Tavor mentre gli occhi si chiudono.
Cosa vedi?
Conigli e corvi giganti.
Ora dimmi Dottoressa, dov’è la razionalità?
Riapri gli occhi.
Riaprili.
Rialzati.
Io ho piantato i piedi nel fango dei miei sbagli.
Lasciatemi sprofondare in pace.

sabato 15 marzo 2014

Malessere Vittoriano



Tic-tac. Tic-tac. Tic-tac.
Siamo vittime di questi ingranaggi che girano senza pietà.
Crac.
Si inceppano.
Rotelle che scattano, si incastrano e scivolano nel baratro del tempo.
Rumori metallici, graffiano l’anima.
Ci sentiamo Steampunk, abbiamo un Malessere Vittoriano che scalda il cuore, tarlato dagli eventi.
Abbiamo infilato le dita nei buchi che mi rendono a brandelli, alla ricerca di qualcosa da tirarci fuori. Speravamo di trovarci qualche sorpresa, un bruco nella mela marcia. Nuova vita che grida dal fondo.
Un cazzo.
Non abbiamo trovato proprio un cazzo.
Solo un mucchio di pezzettini strappati. Brandelli di storie passate, di storie complicate e sbagliate.
Siamo corpi stanchi in quest’armatura che brilla come argento ma è solo un foglio di alluminio. Siamo stanchi di crogiolarci nel vapore dei nostri vuoti.
Siamo stanchi di combattere contro i mulini a vento.
A Don Chisciotte abbiamo sempre preferito Orlando Furioso, arreso alla sua instabilità.
In viaggio sulla luna alla ricerca del senno.
Noi il Senno ce lo cerchiamo nelle nebbie.
In questi posti che sembrano vecchi e profumano di nuovo.
Qui, nelle metropolitane del destino, aspettiamo il prossimo treno.
Imbocchiamo un’altra linea.
Ce ne andiamo a bordo dei nostri mezzi che borbottano e sbuffano nervosi come caffettiere.
Ce ne andiamo nelle languide terre colorate di opachi sogni e speranze.
Ci addormentiamo.
E tanti saluti.