giovedì 24 maggio 2012

Cenere e lacrime

Cosa è successo? E' come risvegliarsi da un lungo sonno e rendersi conto che dimenticare è impossibile. Manuel Agnelli urla dalle casse dello stereo "Vieni a fare un giro dentro di me o questo fuoco si consumerà da sè". I fotogrammi di una vita che non tornerà passano dietro le palpebre uscendone irrimediabilmente stropicciati. Sentire le mani di qualcuno che non c'è sulla pelle, sentirne le parole, l'eco dei ricordi sotto i passi amplificati nelle strade all'una e mezza di notte.
Amore ti ricordi di quando ero sbagliata? E ti ricordi di quando le mie gambe erano troppo fragili per reggersi da sole? Amore ti ricordi di quando correvo e sfuggivo? Ti ricordi di quando ero pazza e poi sono guarita?
No, non ti ricordi. Lo ricorda la mia testa riccia malata. E lo ricorda la mia pelle troppo bianca per nascondere i segni di una storia che non passerà.
Questi ragazzi di oggi non sanno amare, non sanno vincere. Perdono e bevono. Ingollano alchol e stanno zitti.
"C'è qualcosa dentro di me che è sbagliato e non ha limiti. C'è qualcosa dentro di te che è sbagliato ma ci rende simili". 
E' così che si finisce a mangiare cenere e lacrime in compagnia dei ricordi. O forse no?

martedì 22 maggio 2012

Vino, abbracci e fili colorati

Buio nelle strade, il vociare di noi ragazzi, una bottiglia di vino e le risate. Qualcuno si siede sui gradini a parlare con gli altri, io resto seduta al tavolino di plastica consumato. Guardo il vuoto e penso che avrei voglia di un abbraccio, ne ho bisogno quando sono ubriaca. Mi guardo intorno, il cielo su di me ha appena cominciato a girare, ripiego la testa e osservo. La mia amica mi accarezza la testa e mi dice che sono tenera, io le rispondo che le voglio bene. Sono l'ultima arrivata del gruppo. Avrei voluto essere lì con loro da più anni, mi sento a casa. 
Ho paura che non mi credano quando dico che sto bene con loro, che mi sono affezzionata, ho paura che le mie parole di giovane avvinazzata non vengano prese sul serio. In realtà io parlo davvero solo in quei momenti.
Abbracci, uno dietro l'altro, una serie di "ti voglio bene" apparentemente ricambiati. Depressione e allegria si scambiano di posto in un gioco altalenante che fa più male dell'alchol che riempie il mio fegato.
Mi avvicino a lui e lo abbraccio, è tanto magro, ha un profumo familiare ma non riesco a ricordare quale. Devo dirgli qualcosa, mi sono avvicinata per questo, ma me ne dimentico o forse no? Forse lo so cosa devo dirgli ma, per evitare errori, ci rinuncio. E' bellissimo, troppo... fa male agli occhi per quant'è bello.
L'abbraccio si scioglie e io mi sento male, guardo gli altri che mi stanno intorno. Ho bisogno di qualcuno che mi abbracci. 
Non so dove sedermi, tutto mi sembra scomodo, non mi piace niente. Nessuna sedia, nessun, gradino, non mi va di stare in piedi. Voglio stare tra le braccia di qualcuno. 
Mi vengono in mente tutti i baci dati nella mia vita, tutte le volte che le labbra di qualcuno hanno sfiorato le mie. Sento lo stomaco contrarsi in memoria di quei tempi andati, ricordo i sapori di tutte le persone che mi hanno lasciato un po' del loro amore. Penso che mi piacciono i baci, anche se durano poco, anche se dopo spariscono insieme a chi te li ha poggiati sulla bocca. Li immagino come fili colorati che si intrecciano, ti scendono giù per la gola fino a toccarti lo stomaco, si arrampicano alle pareti come rami d'edera, non è facile strapparli via. 
Mi chiedo quanta gente abbia baciato i miei amici. Pochi? Tanti? Nessuno? Non ho il coraggio di chiederglielo, per me è una cosa seria ma le parole mi si appiccicano al palato.
E' notte, ma non è tardi, non c'è nessuno a baciarmi. Nel frattempo mi sono seduta su un gradino, devo alzarmi. Il cielo riprende a ballare sulla mia testa. Anche il mio cervello sta ballando.

sabato 12 maggio 2012

Le ombre

Guardava le ombre nella stanza, senza capire da dove arrivassero. Erano tante ed erano sedute sul suo letto, questa era l'unica cosa di cui era sicura. Le succhiavano energia come tante cannucce invisibili e pungenti come aghi. Sentiva gli spilli nella carne, il suo corpo si stava addormentando, poco a poco. La luce fioca e il sudore sulla fronte, le ricordavano che, sì, era ancora viva. 
"Muoio, sto morendo cazzo" quel pensiero le strisciava nero tra gli anfratti più nascosti del cervello e aumentava il panico. Sentiva la paura seduta sul suo stomaco come un grosso animale che non accenna a volersi spostare. Paralisi.
Le ombre le giravano attorno, la chiamavano, era il suo nome quello che sentiva echeggiare nella stanza, proveniva da un'altra parte, le voci erano dentro o fuori?
Cercò di alzarsi, non ci riuscì. Sgranò gli occhi quando uno di quegli esseri senza volto le si avvicinò, fino a sfiorarle il viso. Le entrò dentro. Dolore. Buio. Tutto nel giro di qualche frazione di secondo. Poi più nulla.