Marlene appollaiata sul davanzale stacca brandelli di carne
cruda e li manda giù senza ritegno. Io la osservo seduta sulle scale senza
disgusto e con poco interesse. Si ferma e mi guarda con i suoi occhi vitrei e
neri, inclina la testa da un lato e la incassa nelle spalle, sembra voglia
dirmi qualcosa ma non lo fa. Marlene è sempre così, arriva bussando alla
finestra, strappa pezzi di carne e li manda giù senza pensarci, resta ad
ascoltarmi e poi va via. Mi punta addosso i suoi occhi rotondi e neri come perle,
sembra volermi dire qualcosa ma non lo fa mai.
Io sono sempre così, le apro la finestra, le lascio la sua
porzione quotidiana sul davanzale e la osservo seduta sulle scale. A volte le
racconto di me, delle mie giornate e delle mie tragedie, dei miei attimi di
vita in frantumi, a volte piango con Marlene che mi sfiora il braccio e mi
scompiglia i capelli.
Le canto qualcosa, “Sono come tu mi vuoi” dei CCCP è la
prima cosa che mi viene in mente e gliela canto, mentre lei continua a
sbrindellare pezzi di carne insudiciandomi di sangue il terrazzo. L’odore mi
pizzica il naso ma non ci faccio caso, a lei piace così.
Guarda il cielo, probabilmente ha visto qualche uccello
volare e lo sta puntando, lascia il suo pranzo e viene accanto a me. Io
continuo a cantare, Marlene sembra non gradire la mia canzone. Provo a
cambiare, la sua preferita “The House of Rising Sun” degli Animals. Cambia
atteggiamento.
Io piango e canto, Marlene affonda nei miei capelli, mi
sfiora il collo e canta con me. È sgraziata Marlene, gracchia e non azzecca
nemmeno una nota ma, pare divertirsi. A modo suo, mi consola con i suoi silenzi
e le sue grida sguaiate.
Mi alzo per prendere una sigaretta e lei mi viene dietro,
nero vestita, puntandomi i suoi occhi vitrei. Mi sfiora il viso e si poggia sul
mio braccio mentre una Camel prende fuoco tra le mie labbra.
“Sai Marlene, ti invidio, tu sei libera Marlene” le dico
ingoiando lacrime grosse come biglie che mi si incastrano tra la gola e il
cuore. Mi stringe il braccio e gracchia, come sempre. A modo suo mi consola
Marlene.
Mi scompiglia i capelli e si liscia le penne per poi
spiccare il volo.
Vedo il mio corvo sparire tra i comignoli, le faccio un
segno con la mano così, per salutarla,
e resto a guardare il cielo. La sento gracchiare forte.
Il sole mi punge gli occhi, c’è un’atmosfera vagamente
pseudo-primaverile. Rientro e aspetto che Marlene venga a bussare ancora alla
mia finestra per mangiare la sua carne cruda mentre mi ascolta e, a modo suo,
mi consola.
È un corvo sui generis la mia Marlene, libera e tenera. Non
graffia mai con il becco, non punta mai ai miei occhi, nonostante me li guardi
scintillare in continuazione. Non fa male Marlene quando con le zampe mi
stringe il braccio e mi becca affettuosa la guancia e mi scompiglia i capelli.
Cos’hanno in comune un
corvo e uno scrittoio, Alice, tu lo sai?
Caro Cappellaio, non sono Alice e non so nemmeno che tipo di
corvi e scrittoi hai visto nella tua vita. I miei sicuramente qualcosa in
comune ce l’hanno. Il mio corvo e il mio scrittoio conservano le mie tragedie e
le mie gioie, i miei sogni e le mie sconfitte. Marlene se li porta nascosti tra
le penne che ha sulle ali, il mio scrittoio se li tiene stretti nelle penne
sparse qua e la, tra i libri e gli incensi.
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